Archeologia invisibile - Museo Egizio, Via Accademia delle Scienze, 6 - Torino
Mostra in corso dal 13 marzo 2019 al 7 giugno 2020
Camera presenta una mostra fotografica in occasione dei 30 anni dalla caduta del muro di Berlino (9 novembre 1989). La mostra propone il racconto del Begrüssungsgeld, il denaro di benvenuto che dal 1970 al dicembre 1989 i cittadini della DDR ricevevano quando entravano nella Germania Ovest per la prima volta.
Comunicato stampa della Mostra Gino De Dominicis. Videotape, 1974
Nasce dall’incontro fra il lavoro di ricostruzione storica degli archeologi e dei conservatori del
Museo Egizio sulla propria collezione e gli strumenti mutuati dalle più recenti frontiere dello
sviluppo tecnologico, il nuovo progetto espositivo temporaneo che caratterizza il 2019
dell’istituzione culturale torinese.
“Archeologia Invisibile” è il titolo della mostra visitabile a Torino dal 13 marzo fino al 6 gennaio
2020, a cui Enrico Ferraris, egittologo del Museo che ha curato e coordinato il progetto concepito
all’interno del dipartimento collezioni e ricerca, ha affidato il compito di condurre il pubblico alla
scoperta della “biografia degli oggetti”, illustrando principi, strumenti, esempi e risultati della
meticolosa opera di ricomposizione di informazioni, dati e nozioni resa oggi possibile dalla
collaborazione delle scienze naturali con la propria disciplina nello studio dei reperti.
Cos’è in grado di raccontare un oggetto di sé? I nostri sensi, la vista in primis, ce ne restituiscono
informazioni di base come l’aspetto, la dimensione, la forma, il colore, finanche le tracce che
l’uomo, la natura o il tempo vi hanno impresso. Eppure, tutto ciò non è evidentemente sufficiente
a disvelarne l’intera storia e il ciclo di vita, a partire dalla sua origine, né le reali funzioni, i contesti
d’impiego, il valore materiale o simbolico e molto altro ancora.
Nulla, fra ciò che ci circonda, ne è sottratto, ma quando tale principio viene traslato in ambito
archeologico, l’approccio, nel farsi scientifico, comporta un grado di analisi superiore, che poggia
proprio sulla conoscenza approfondita del reperto, il cui percorso biografico si amplia: anche
l’oblio entra a far parte della narrazione e la vita dell’oggetto si dilata - potremmo forse dire si
rianima - col momento stesso del suo ritrovamento e poi, ancora, col suo successivo destino in una
collezione, con la sua musealizzazione.
Il progetto “Archeologia Invisibile” muove proprio dall’intento di esplorare l’affascinante
dimensione di quell’attività d’investigazione che le moderne apparecchiature, applicate alle
modalità d’indagine e ricerca dell’egittologia, consentono di compiere nello studio di un reperto
archeologico: grazie alla crescente interazione con la chimica, la fisica o la radiologia, il patrimonio
materiale della collezione di Torino rivela di sé elementi e notizie altrimenti inaccessibili, che
permettono di tratteggiarne volti ancora ignoti.
L’archeometria - insieme delle tecniche adottate per studiare i materiali, i metodi di produzione e
la storia conservativa dei reperti - rende così possibile “interrogare” gli oggetti, domandare a un
vaso, a una mummia, a un sarcofago chi siano davvero e perché oggi si trovino al Museo Egizio.
Quesiti con cui pubblico di “Archeologia Invisibile” si cimenta lungo un percorso espositivo che,
con l’ausilio di tali strumenti, invita a guardare oltre il visibile, osservando da vicino i segreti
custoditi all’interno degli oggetti, scoprendone aspetti inattesi e trovando risposte talvolta
sorprendenti alla propria curiosità come alle domande degli archeologi, nonché ad alcuni rilevanti
quesiti della scienza.
Le tre sezioni in cui si articola la mostra - dedicate, nell’ordine, alla fase di scavo, alle analisi
diagnostiche, a restauro e conservazione - a loro volta suddivise in dieci sottosezioni tematiche,
propongono dimostrazioni concrete delle differenti aree di applicazione di questo connubio fra
l’egittologia e le nuove tecnologie, a cui peraltro l’allestimento stesso ricorre, caratterizzandosi
con installazioni multimediali e spazi d’interazione digitale per un’esperienza di visita immersiva,
supportata da un’audioguida dedicata, realizzata dalla Scuola Holden.
Va evidenziata, infine, la fitta rete di collaborazioni nazionali e internazionali che ha contribuito
alla realizzazione di “Archeologia Invisibile”, sviluppata con università, istituti di ricerca, enti e
istituzioni di tutto il mondo: un sistema di relazioni che va dagli Stati Uniti - è il caso del
Massachusset Institute of Technology - alla Gran Bretagna, dal Giappone alla Germania,
dall’Olanda all’Egitto, passando per numerose prestigiose realtà più prossime, come il Centro
Conservazione e Restauro di Venaria Reale (To), i Musei Vaticani e il CNR.
Documentare gli scavi
È lo scavo il primo fondamentale testimone da consultare in questa vera e propria attività
d’investigazione: l’egittologo, al pari del detective di un caso giudiziario, pone le basi della sua
indagine nella minuziosa analisi del luogo del ritrovamento. Non soltanto per conoscerne le
caratteristiche - del terreno, delle sue stratificazioni, del tipo di sito, dell’insediamento ospitato
ecc. - ma anche per documentarne, con la massima precisione, lo scenario e il contesto così come
si presentava prima dell’avvio del dissotterramento e, soprattutto, della rimozione di quanto
rinvenuto.
In tale ambito, ad esempio, i recenti sviluppi della fotogrammetria permettono il
ripristino virtuale di un contesto archeologico che materialmente potrebbe non più esistere,
dando vita a un modello digitale che, “agganciandovi” i dati di scavo, diviene un archivio
aggiornabile in tempo reale e facilmente accessibile alla comunità scientifica.
Le analisi diagnostiche
Quasi come in una ulteriore fase di scavo, l’impiego sui reperti di tecniche d’indagine
riconducibili alla cosiddetta archeometria porta alla luce diversi “strati invisibili” di dati.
Studiare la natura fisica e materica degli oggetti significa quindi poterne osservare aspetti
perlopiù invisibili all’occhio umano, spesso liberando da essi storie dimenticate. È il caso del
corredo funerario della Tomba di Kha, un unicum nella collezione del Museo Egizio con 460
pezzi ritrovati integri e ottimamente conservati: benché giunti a Torino oltre un secolo fa, solo
recenti esami diagnostici hanno permesso di iniziare conoscerli a fondo. Con le tomografie
neutroniche, effettuate a Oxford presso lo Science & Technologies Facilities Council, si è ad
esempio andati alla ricerca del contenuto di sette vasi sigillati realizzati in alabastro,
accertandone la natura di recipienti riservati agli altrettanti oli sacri usati per il rito
dell’imbalsamazione. Analogamente, l’indagine multispettrale ha consentito di compiere
importanti scoperte sulla chimica dei colori utilizzati nell’Antico Egitto, come quella del “blu
egizio”, il primo colore sintetico prodotto nella storia dell’umanità.
Ma anche le stesse mummie di Kha e della sua sposa Merit sono state sottoposte ad accurati
accertamenti. In passato la conoscenza di quanto celato dalle bende era di fatto impossibile,
se non compromettendo irrimediabilmente l’integrità della mummia, ma oggi l’azione
combinata di analisi radiografiche e TAC ha permesso di realizzare un vero e proprio
sbendaggio virtuale di questa coppia di 3400 anni fa: per il loro viaggio nell’aldilà entrambi
furono ornati di gioielli dalla raffinata fattura - bracciali, collane, orecchini e un “scarabeo del
cuore” - che oggi possiamo rivedere grazie alla modellazione 3D.
Conservazione e restauro
Oltre ad accompagnare la ricerca scientifica sui reperti, l’indagine archeometrica assume un ruolo
fondamentale nella definizione dei metodi migliori di restauro e conservazione. Ne è un esempio il
recente avvio di un lavoro congiunto fra il Museo Egizio, il Bundesanstalt für Materialforschung di
Berlino e il Centre for the Study of Manuscript Cultures di Amburgo, in cooperazione con il
progetto PAThs di Paola Buzi (Università La Sapienza di Roma). L’attività si concentra sull’analisi
dei manoscritti copti della collezione egittologica torinese, raro esempio di biblioteca tardoantica
ben conservata e interamente trasmessa tramite codici su papiro, prima che la pergamena
diventasse il principale supporto. Dall’analisi degli inchiostri e del papiro sono attese informazioni
su natura e provenienza dei materiali utilizzati nel laboratorio dello scriba, permettendo di definire
gli interventi di restauro.
Ma sono anche i metodi espositivi a venir reinterpretati e implementati dal contributo
tecnologico: una dimostrazione in tal senso la offre l’epilogo della mostra con un’installazione in
video mapping, la proiezione su un modello 3D in scala 1:1 del sarcofago dello scriba reale
Butehamon, che rappresenta il clone digitale dell’originale esposto in sala. Si tratta del supporto di
una nuova narrazione della biografia del sarcofago, dalla sua costruzione alla sua musealizzazione,
dalla sua prima decorazione, al suo invecchiamento e al suo restauro.
Questa sezione conclusiva della mostra consegna al visitatore la riflessione sul patrimonio
intangibile di informazioni che la scienza sta, in un certo senso, emancipando dal reperto.
L’enorme accumulo di dati aumenta esponenzialmente le opportunità di collegare dati e oggetti,
di studiare, conservare e valorizzare i reperti. Diventa inoltre possibile costruire modelli digitali dei
reperti stessi, non certo in sostituzione ma a integrazione degli originali, in cui le informazioni
preservate possono divenire visibili e riproducibili, poiché non più vincolate all’esperienza hic et
nunc imposta dalla natura stessa dell’oggetto.
Orari: lunedì dalle 9.00 alle 14.00; da martedì e domenica dalle 09.00 alle 18.30.
Biglietti: intero € 15; ridotto € 11 da 15 a 18 anni; ridotto € 1 dai 6 ai 14 anni; ridotto € 1 gruppi scolastici da 6 a 14 anni + n° 2 insegnanti; gratuito per i bambini fino a 5 anni.
Telefono: +39.011.5617776
E-mail: [email protected]
Sito web: Museo Egizio |